Homilía del Card. Beniamino Stella en las ordenaciones sacerdotales 2015

ITALIANO

ESPAÑOL

ENGLISH

PORTUGUÊS

 

ITALIANO: Siate testimoni e ministri della Misericordia

Ordinazioni presbiterali della Congregazione dei Legionari di Cristo

Basilica di San Paolo fuori le Mura, 12 Dicembre 2015

Cari amici Legionari di Cristo, con gioia ho accolto l’invito rivoltomi a partecipare a questa giornata di festa, per la vostra Congregazione e per la Chiesa, nella quale 44 diaconi riceveranno l’ordinazione presbiterale. Ogni sacerdote è un dono per la Chiesa e per l’umanità, quindi sono tante oggi le ragioni di letizia, che portiamo insieme all’altare del Signore.

A partire dalle letture che la liturgia oggi ci propone – tra i tanti commenti possibili sul ministero sacerdotale – vorrei presentarvi alcuni tratti caratteristici della persona del sacerdote, dalla vocazione sino alla missione.

Ogni sacerdote – lo sappiamo bene – è «scelto tra gli uomini», «costituito nelle cose che riguardano Dio» e «mandato nel mondo».

Siamo, da Dio Padre provvidente, «scelti tra gli uomini»; il primo pensiero va dunque, spontaneamente alla distinzione tra carriera e vocazione. In una carriera è l’uomo il protagonista assoluto; elabora un progetto, si forma in vista di esso, predilige le relazioni che crede funzionali in tal senso. La carriera, potremmo dire, è un piano concepito e portato avanti, con determinazione. Non così la vocazione, perché in essa l’iniziativa è di Dio, il primo passo è Suo. La vocazione è risposta, per amore, a Qualcuno che chiama, è accoglienza e relazione, non progetto.

In questo senso, permettetemi di portare l’attenzione sul gesto che compirò tra poco, l’imposizione delle mani su questi diaconi. È un gesto eloquente, che ricorda come essi “ricevono” qualcosa, meglio Qualcuno – lo Spirito Santo – che non si possono dare da soli; hanno compiuto il loro iter formativo, sono stati ritenuti idonei al ministero e ora ricevono il presbiterato; non conquistano dei “gradi”; accolgono un dono, non un premio alle fatiche. Essi chiedono, non presentano pretese, e ricevono il Dono che Dio fa loro, attraverso la Chiesa.

È bene per un sacerdote mantenere, sempre, per tutta la vita, la consapevolezza di essere stato scelto, perché in tale momento si sono incontrati l’amore di Dio, che chiama, e quello dell’uomo, che risponde; tale consapevolezza, perciò, è la “cassaforte” della nostra gioia, tramite la memoria della grazia ricevuta, del “primo amore”, come ha ricordato Papa Francesco (Meditazione Quotidiana a Santa Marta, 30 Gennaio 2015): l’amore con cui Dio ci ha scelti «è stata una gioia grande», secondo le parole del Santo Padre, e ne è nata «una voglia di fare cose grandi».

Questa scelta Dio la opera «tra gli uomini», non tra i “super apostoli”, come li ha chiamati San Paolo (2Cor 11,5), o in qualche élite depositaria di speciali rivelazioni o carismi; Dio non chiama i “migliori”, ma quelli che Lui vuole – è il mistero della predilezione divina – perché, facendosi santi nella vita ministeriale, possano santificare i loro fratelli.

La nostra storia personale, direi la nostra natura umana, è un “libro” che, da sacerdoti, non possiamo smettere di consultare; lì spesso risiede la radice dei successi e anche delle difficoltà, o dei drammi, che incontriamo nel ministero. «Un buon prete, ha detto Papa Francesco ai partecipanti al Convegno recentemente organizzato dalla Congregazione per il Clero, è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa, raggiungendo la serenità di fondo, propria di un discepolo del Signore». Come è importante conoscere bene, in profondità, questo libro, che siamo ciascuno di noi!

Scelto da Dio Padre, tra gli uomini, il sacerdote è poi «costituito nelle cose che riguardano Dio»; non si tratta di una osservazione da poco, perché individua in modo chiaro e – direi – mai abbastanza ribadito, qual’è la sfera di competenza, l’ambito di azione, del sacerdote: «le cose che riguardano Dio». Infatti, oggi, e sempre, occorre fare attenzione all’idea o al concetto di sacerdozio. Spesso lo vogliamo connotare e quasi chiarire o illuminare con un quid, di cui avrebbe bisogno, per avere senso e comprensione, per noi e per gli altri.

E’ quell’atteggiamento che porta a considerare la vita sacerdotale sempre bisognosa di altre aggiunte, o di altri ingredienti; ad esempio, sacerdozio e …docenza in una facoltà; sacerdozio e … presenza in tv; sacerdozio e … internet; sacerdozio e … mondo degli itineranti o del turismo, e così via: spostando, in fondo, il centro focale, facendo, alla fine, sempre qualcosa che metta al centro i nostri interessi e le nostre abilità, e in secondo piano, ai margini della vita e poi, purtroppo della giornata, il sacerdozio e il suo valore intrinseco, con quelle sue esigenze profonde, sacramentali e di spiritualità personale, che lo alimentano e gli danno vitalità intrinseca e propria.

È un rischio insidioso, anche, fra l’altro, nel rapporto con i confratelli, perché induce a dare maggior importanza a ciò che distingue e non a ciò che unisce e che, alla lunga, può incrinare o porre a rischio, la comunione e la fraternità sacramentale, fondata sull’Ordine Sacro. In questo modo, il sacerdozio può divenire solo il “pretesto”, per occuparsi d’altro; le sue esigenze scivolano via e creano dei piccoli idoletti, “padroni” del nostro tempo, delle nostre energie più belle e sane, e, ancor peggio, del nostro cuore.

Si diventa così dei “liberi professionisti” del ministero, funzionari del sacro, e si cade in quella temibile “autosecolarizzazione”, che a volte finisce per offuscare una lucida e attraente visione di Chiesa e del suo mistero; e finisce anche per spegnere lo zelo pastorale dei sacerdoti,  portandoli a contemplare e a compiacersi più delle bellezze di Narciso, che delle necessità e delle attese del gregge; in tale contesto, mi preme ricordare a voi, le parole rivolte da Papa Francesco ai giovani consacrati (17 Settembre 2015), quando ha voluto ricordare che questo è «uno dei peggiori atteggiamenti di un religioso: rispecchiare sé stesso, il narcisismo».

Il tesoro più prezioso che ogni sacerdote ha da coltivare per tutta la vita, e da custodire con timore e tremore, è solo Cristo nel proprio cuore, in un rapporto discepolare d’amore, testimoniato attraverso una vita buona secondo il Vangelo, al servizio dei fratelli, reso presente nella celebrazione dell’Eucaristia e nella disponibilità per il sacramento della Riconciliazione. Questo è il nostro centro di vita interiore, questo ogni sacerdote ha da offrire al proprio fratello, per riconciliarlo in profondità e fargli amare la vita, come dono di Dio,  suscitando, al fine, nel cuore dell’umanità: la fiducia in un Dio che è Padre, la gioia del Vangelo e quella speranza, quella non delude, che nasce da esso.

Ma il cammino vocazionale, iniziato con la chiamata di Dio, arricchito dal dono dell’ordinazione, non si risolve in una via solitaria verso la santità, a discapito, o nonostante, i fratelli. Gesù ha mandato nel mondo i suoi discepoli, perché fossero in esso gli operatori al servizio del Regno. Il dono del sacerdozio allora non è questione di prestigio o di ascesa, nella Chiesa o nella vostra Congregazione, ma di missione, in ragione della vocazione iniziale; infatti, ha ricordato Papa Francesco al Capitolo Generale dei Sacerdoti di Schönstatt (3 Settembre 2015), «il sacerdote non sta più in alto, e neppure più avanti degli altri, ma cammina con loro, amandoli con lo stesso amore di Cristo».

Così, nella missione l’itinerario pedagogico di Dio è compiuto; egli chiama alcuni a seguirlo nella via del sacerdozio, tramite la Chiesa, li forma e li guida in un costante cammino discepolare, per poi restituirli al mondo, come Suoi “strumenti” di santificazione. Non diventate sacerdoti per voi stessi, ma per la Chiesa e per il  mondo; Cristo vi “consacra” a Sé per donarvi a tutti. Non lasciate che le insidie della mondanità spirituale e le fatiche, disordinate, del ministero, gettino ombra su questa realtà spirituale e sacramentale. Il dono che oggi ricevete possa sempre fare di voi un dono per i fratelli che incontrerete nel vostro ministero, al servizio del Regno.

È stato da pochi giorni aperto dal Santo Padre il Giubileo della Misericordia; non posso fare a meno di richiamare il compito affidato anche a voi di essere in special modo testimoni e ministri della misericordia di Dio in questo tempo, come parte sostanziale della missione che oggi vi è affidata. Nel farlo, soprattutto, «non stancatevi di perdonare, come faceva Gesù. Siate perdonatori, non nascondetevi dietro paure o rigidità», come ha ricordato Papa Francesco ai sacerdoti cubani (20 Settembre 2015).

E ancora, fate giungere i rivoli della misericordia divina sino agli angoli più oscuri della vita delle persone, sino alle loro ferite più dolorose.

In questo giorno di festa e gioia condivisa, l’augurio più caro che mi sento di farvi è che, configurati sempre più a Cristo Buon Pastore, con la protezione di Maria Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli, possiate conservare la gioia interiore di questa giornata, per tutta la vita.

Possiate poi portarla agli angoli e alle periferie più lontane e difficili dell’umanità, certi che lo Spirito Santo che vi ha scelti per seguire Gesù, per stare con lui e mandarvi ad annunciare il Regno, benedirà il vostro servizio sacerdotale, in attesa di incontrare Lui, sempre Lui – Cristo ieri, oggi e sempre –  ricchi di frutti, nella Casa del Padre. Amen.

ESPAÑOL: Sed testigos y ministros de la Misericordia

Ordenación presbiteral de 44 Legionarios de Cristo

Basílica de San Pablo Extramuros, 12 de diciembre de 2015

Homilía del Card. Beniamino Stella

Queridos amigos Legionarios de Cristo, con gran alegría he acogido la invitación que me habéis hecho de participar en este día de fiesta para vuestra Congregación y para la Iglesia entera. Hoy 44 diáconos recibirán la ordenación presbiteral. Cada sacerdote es un don para la Iglesia y para la humanidad y por ellos son tantas las razones para la alegría que traemos juntos al altar del Señor.

Partiendo de las lecturas que la liturgia nos propone, y entre tantos comentarios posibles sobre el ministerio sacerdotal, quiero presentarles algunos rasgos característicos de la persona del sacerdote, desde su vocación hasta su misión.

Cada sacerdote, lo sabemos bien, ha sido «elegido de entre los hombres», «constituido en las cosas que se refieren a Dios» y «es enviado al mundo».

Dios, Padre providente, nos ha «elegido de entre los hombres». Mi primer pensamiento se dirige espontáneamente a una distinción entre carrera y vocación. En una carrera el hombre es el protagonista absoluto: elabora un proyecto, se forma para realizarlo, cultiva especialmente las relaciones que considera útiles para alcanzarlo. Podemos decir que la carrera es un plan concebido y realizado con determinación. No es así con la vocación. En ella la iniciativa es de Dios y el primer paso lo da Él. La vocación es una respuesta dada por amor a Uno que llama. Es acogida y relación, no un proyecto.

En este sentido, permitidme centrar la atención sobre el gesto que realizaré en unos momentos: la imposición de las manos sobre estos diáconos. Se trata de un gesto elocuente, que nos recuerda cómo ellos «reciben» algo, o mejor dicho, a Alguien –al Espíritu Santo– que ellos no pueden darse a sí mismos. Han completado su itinerario formativo, han sido considerados idóneos para el ministerio y ahora reciben el presbiterado. No es que conquisten «grados» o «títulos». Más bien acogen un don, que no un premio por sus fatigas. Ellos piden, sin presentar exigencias, y así reciben a través de la Iglesia el Don que Dios les hace a cada uno de ellos.

Es bueno que los sacerdotes mantengan siempre, durante toda la vida, la conciencia de haber sido elegidos, pues es en ese momento que se han encontrado, por un lado, el amor de Dios que llama y, por otro, el amor del hombre que responde. Esta conciencia es la «caja fuerte» de nuestra alegría por la memoria de la gracia recibida, del «primer amor», como ha recordado el Papa Francisco (Meditación cotidiana en Santa Marta, 30 de enero de 2015): el amor con el que Dios nos ha elegido «ha sido una gran alegría», según las palabras del Santo Padre, y de ahí ha brotado «un deseo de hacer cosas grandes».

Dios realiza esta elección «de entre los hombres» y no de entre los «súper apóstoles» como los llama San Pablo (2Cor 11,5) ni de entre una élite depositaria de revelaciones o carismas especiales. Dios no llama a los «mejores», sino a los que Él quiere –es el misterio de la predilección divina–, para que santificándose en la vida sacerdotal puedan, a su vez, santificar a sus hermanos.

Nuestra historia personal, diría incluso nuestra naturaleza humana, es un «libro» que, como sacerdotes, no podemos dejar de consultar. La raíz de los éxitos, de las dificultades y de los dramas que encontramos en nuestro ministerio frecuentemente reside en ella. «Un buen sacerdote, –ha dicho el Papa Francisco a los participantes en el Congreso organizado recientemente por la Congregación para el Clero–, es ante todo un hombre con su propia humanidad, que conoce la propia historia, con sus riquezas y sus heridas, y que ha aprendido a hacer las paces con ella, alcanzando la serenidad profunda, propia de un discípulo del Señor». ¡Qué importante es que conozcamos bien, en profundidad, este libro que somos cada uno de nosotros!

Elegido por Dios Padre de entre los hombres, el sacerdote es «constituido en las cosas que se refieren a Dios». No se trata de una observación menor, pues identifica en modo claro, y diría incluso que no se puede subrayar suficientemente, cuál es la esfera de competencia, el ámbito de acción del sacerdote: «las cosas que se refieren a Dios». Hoy y siempre es necesario estar atentos a la idea o concepto que nos hacemos del sacerdocio. Con frecuencia queremos connotarlo y casi clarificarlo o iluminarlo con un quid, un «algo», que parecería necesario para que el sacerdocio pueda tener sentido y sea comprensible para nosotros y para los demás.

Esta es la actitud que nos lleva a pensar que la vida sacerdotal está necesitada de añadidos, de otros ingredientes. Por ejemplo: sacerdocio y… enseñanza en una facultad; sacerdocio y… presencia en la televisión; sacerdocio e… internet; sacerdocio y… mundo de los itinerantes o del turismo; etcétera. En el fondo se van quitando del centro los elementos esenciales del sacerdocio hasta lograr que ocupen el lugar central nuestros intereses personales y nuestras habilidades. Y así se relega a un segundo plano, a los márgenes de nuestra vida y por desgracia también de la jornada, el sacerdocio y su valor intrínseco, con sus exigencias profundas, sacramentales y de espiritualidad personal, que lo nutren y le dan la vitalidad que le es intrínseca y propia.

Esta actitud es también un riesgo insidioso en la relación con los hermanos en el sacerdocio, pues induce a dar una mayor importancia a lo que nos distingue y no a lo que nos une. A la larga, deteriora o incluso pone en riesgo la comunión y la fraternidad sacramental, fundada en el Orden Sagrado. Así, el sacerdocio puede convertirse solamente en un «pretexto» para ocuparse de otras cosas. Sus exigencias se van difuminando y nos creamos pequeños ídolos, «dueños» de nuestro tiempo, de nuestras energías más bellas y sanas y, peor todavía, de nuestro corazón.

Se llega así a ser «libres profesionistas» del ministerio, funcionarios de lo sagrado y se cae en la temible «autosecularización» que a veces llega incluso a ofuscar una visión lúcida y atrayente de la Iglesia y de su misterio. Se llega también a apagar el celo pastoral de los sacerdotes, llevándolos a contemplar y complacerse más de las bellezas de Narciso que de las necesidades y expectativas del rebaño que les es confiado. En este contexto, siento la urgencia de recordarles las palabras que el Papa Francisco dirigió a los jóvenes consagrados (17 de septiembre de 2015) cuando ha querido evidenciar que éste es «uno de las peores actitudes de un religioso: reflejarse a sí mismo, el narcisismo».

El tesoro más precioso que todo sacerdote debe cultivar a lo largo de toda su vida y custodiar con temor y temblor, es solo Cristo en su corazón, en una relación de amor de discípulo, dando testimonio de ella con una vida buena según el Evangelio, al servicio de los hermanos que se concreta en la celebración de la Eucaristía y la disponibilidad para el sacramento de la Reconciliación. Éste es nuestro centro de vida interior, esto es lo que cada sacerdote tiene para ofrecer a sus hermanos, para reconciliarlos en profundidad y hacerlos amar la vida como don de Dios. Así se puede llegar a suscitar en el corazón de la humanidad la confianza en un Dios que es Padre, la alegría del Evangelio y la esperanza que no defrauda y que nace de él.

Ahora bien, el camino vocacional, iniciado con una llamada divina, enriquecido con el don de la ordenación, no se convierte en un camino solitario hacia la santidad, en detrimento o incluso a pesar de los hermanos. Jesús ha enviado a sus discípulos al mundo para que fueran obreros al servicio del Reino. El don del sacerdocio, entonces, no es cuestión de prestigio o de encumbramiento ni en la Iglesia ni en vuestra Congregación, sino de misión, en virtud de la vocación inicial. De suyo, el Papa Francisco recordaba al Capítulo General de los Sacerdotes de Schönstatt (3 de septiembre de 2015): «El sacerdote no está más arriba, ni por delante de los demás, sino que camina con ellos, amándolos con el mismo amor de Cristo».

Así pues, es en la misión en donde llega a cumplimiento el itinerario pedagógico de Dios. Él llama a algunos a seguirlo en el camino del sacerdocio. Los forma y los guía por el ministerio de la Iglesia en un constante camino de discípulos para luego devolverlos al mundo como sus «instrumentos» de santificación. No seáis sacerdotes para vosotros mismos, sino para la Iglesia y para el mundo. Cristo os «consagra» a sí para daros a todos. No permitáis que las insidias de la mundanidad espiritual y las fatigas desordenadas del ministerio, oscurezcan esta realidad espiritual y sacramental. Que el don que recibís hoy pueda hacer de vosotros siempre un don para los hermanos que encontraréis en vuestro ministerio al servicio del Reino.

Hace unos días el Santo Padre ha inaugurado el Jubileo de la Misericordia. No puedo no recordaros la tarea que se os confía también a vosotros de ser en modo especial testigos y ministros de la misericordia en este tiempo, como parte sustancial de la misión que hoy la Iglesia os confía. Al hacerlo, sobre todo, «no se cansen de perdonar. Sean perdonadores. No se cansen de perdonar, como lo hacía Jesús. No se escondan en miedos o en rigideces», como ha recordado el Papa Francisco a los sacerdotes cubanos (20 de septiembre de 2015).

Una vez más os lo digo, haced llegar los ríos de la misericordia divina hasta los rincones más oscuros de la vida de las personas, hasta las heridas más dolorosas.

En este día de fiesta y de alegría que compartimos, el deseo más sentido que quiero haceros es que, configurándoos siempre más con Cristo Buen Pastor, con la protección de María Madre de la Iglesia y Reina de los Apóstoles, podáis conservar la alegría interior de esta jornada durante toda la vida.

Que podáis llevarla a las periferias y los lugares más alejados y difíciles de la humanidad con la confianza que os da saber que el Espíritu Santo, que os ha elegido para seguir a Jesús, para estar con Él y enviaros a anunciar el Reino, bendecirá vuestro servicio sacerdotal mientras esperáis encontrarlo a Él, siempre a Él, Cristo es el mismo ayer, hoy y siempre, llenos de frutos, en la casa del Padre. Amén.

.

ENGLISH: Be witnesses of God’s mercy

Thy Kingdom Come!

Priestly Ordinations of the Congregation of the Legionaries of Christ

Basilica of St. Paul Outside the Walls, December 12 2015

My dear friends, Legionaries of Christ, it was with great joy that I accepted the invitation to participate in this day of celebration for your Congregation and for the Church, in which 44 deacons will be ordained priests. Every priest is a gift for the Church and humanity, and so we have many reasons to rejoice today, and together we bring them all to the Lord’s altar.

Based upon readings that the liturgy proposes today – and among so many possible comments about priestly ministry – I would like to present some characteristic features of the personality of the priest, from his vocation to his mission.

Every priest – as we well know – is “chosen from among men,” “constituted in the things which refer to God,” and “sent into the world.”

We, by God’s Providence, have been “chosen from among men.” My first thought, then, arrives spontaneously at the distinction between career and vocation. In a career, man is the absolute protagonist; he develops a project, prepares himself with this project in mind, and fosters the relationships that he believes will help him achieve his goal. But a vocation is different, because in a vocation, God takes the initiative – the first step is His. A vocation is a response of love to Him who calls; it is an act of acceptance and a relationship, not a project.

In this regard, let me draw attention to the gesture that I will perform shortly, the laying on of hands on these deacons. It is an eloquent gesture, which reminds us that they “receive” something, or rather, Someone – the Holy Spirit – that they cannot give to themselves. They have completed their training process, they have been deemed worthy of the ministry, and now they receive the priesthood. It is not that they are graduating.  Rather, they welcome a gift, which is not a reward for hard word. They ask, without demanding anything, and through the Church they receive the Gift that God grants them.

It is good for a priest to maintain, for his whole life, the awareness of having been chosen, because in that moment there is an encounter between the love of God, who calls, and the love of man, who responds. This awareness, therefore, is the “safety deposit box” of our joy, maintained by the memory of the grace which we have received, that “first love,” as Pope Francis has reminded us: (Daily Meditation in the Chapel of the Domus Sanctae Marthae, January 30th 2015) the love with which God has chosen us “has been a great joy,” according to the words of the Pope, and from it is born “a desire to do great things.”

God makes this election “from among men” and not from among “super apostles,” as St. Paul calls them (2 Cor 11:5), nor from among some spiritual elite custodians of special revelations or charisms.  God does not call “the best,” but rather those who He wishes to call – this is the mystery of divine predilection – so that, by sanctifying themselves in their priestly life and ministry, they may sanctify their brothers.

Our personal history, I would dare say also our human nature, is a “book” which, as priests, we must continually make reference to. The root of the successes and the difficulties, or the drama, we meet in the ministry often resides in it. “A good priest,” said Pope Francis to the participants in a conference recently organized by the Congregation for the Clergy, “is first of all a man with his own humanity, who knows his history, with its riches and its wounds, and who has learned to make peace with it, attaining in depth serenity, proper of a disciple of the Lord.” How important it is that we know well, it all its depth, this book which is each of us!

Chosen by God from among men, the priest is “constituted in the things which refer to God.” This is not a minor observation, because it clearly identifies – and I’d say this is something which cannot be emphasized enough – the area of competence and action of a priest: “the things which refer to God.” Today, and always, it is necessary to be attentive to the idea or concept we have of the priesthood. Often we would like to characterize and almost clarify or illuminate it with a quid, a “something”, which it would need in order for it to make sense or be better understood.

This attitude makes us think that the priestly life is in need of something, an added ingredient, for example: priesthood and…teaching in a university; priesthood and…presence in television; priesthood and…the internet; priesthood and…the world of itinerant peoples and tourism, and so on. In the end, we end up moving the focal point, and eventually doing something that puts our own interests and abilities at the center. Thus, we relegate the priesthood to a secondary category, to the margins of our life and even of our day. When we act that way, we loose sight of the intrinsic value of our priesthood and its deeper demands, of both sacramental and personal spirituality, which are the sources that nurture and give the intrinsic vitality proper to our ministry.

This attitude is also an insidious risk to the relationship with one’s brothers in the priesthood, because it leads us to give more importance to the things which distinguish us than to the things which unite us. In the long run, this may deteriorate and even put at risk the communion and sacramental brotherhood which is founded upon Holy Orders. Thus, the priesthood may become just a “pretext” to devote oneself to other things. Its demands start to fade away and thus we create little idols, “masters” of our time, of our healthy and beautiful energy, and what is worse, of our very heart.

We end up becoming “freelance professionals” of the ministry, functionaries of the sacred, and we slip into a frightening “self-secularization” which usually obscures a bright and attractive vision of the Church and Her mystery. As a result, the pastoral zeal of priests is smothered, driving them to contemplate and satisfy themselves more with the beauties of Narcissus than with the needs and hopes of the flock entrusted to them. In this context, I feel the urgency to remind  you of the words Pope Francis addressed to young consecrated persons (September 17, 2015) when he told them that this is “one of the worst attitudes of a religious: to focus on oneself, narcissism.”

The most precious treasure which every priest should cultivate throughout his life, and which he should guard with fear and trembling, is only having Christ in his heart, with the relationship of a loving disciple, bearing witness to it through a holy life lived according to the Gospel, of service to his brothers which is made concrete in the celebration of the Eucharist, and in his availability for the sacrament of Reconciliation. This is the center of our interior life. This is what each priest has to offer to his brothers and sisters, in order to truly reconcile them and teach them to love life as a gift from God, thus arousing in the heart of all humanity a confidence in God who is Father, the joy of the Gospel, and a resulting hope that does not disappoint.

The path of the vocation, which began with God’s call, and is now enriched by the gift of ordination, does not end in an individual journey towards holiness, without taking our fellow human beings into account. Jesus sent his disciples into the world so that they might be laborers at the service of the Kingdom. The gift of the priesthood, then, is not a question of prestige or ascension, neither in the Church nor in your Congregation, but one of mission which flows from the very beginning of your vocation. In fact, Pope Francis reminded the General Chapter of the Priests of Schönstatt (September 3, 2015) that “the priest is not above or before the rest, but walks with them, loving them with Christ’s love.”

So it is that God’s pedagogical itinerary comes to completion in the mission. He calls some to follow him on the path of the ministerial priesthood, and through the Church, he trains them and guides them in a constant of path of discipleship so that He might return them to the world as His “instruments” of sanctification. You do not become a priest for yourselves, but for the Church and the world. Christ “consecrates” you to Himself in order to give you as a gift to everyone. Do not allow the trappings of spiritual worldliness cast a shadow on this spiritual and sacramental reality. May the gift which you receive today ever make of you a gift for the brothers and sisters you encounter in your ministry as you serve the Kingdom.

Just a few days ago the Holy Father inaugurated the Jubilee Year of Mercy. I feel the need to remind you that you too are called to be special witnesses and ministers of the Mercy of God. This is an essential part of the mission entrusted to you today. In doing so, above all, “never tire of forgiving. Be forgivers. Like Jesus, never tire of forgiving. Don’t hide behind fear or inflexibility,” as Pope Francis reminded priests in Cuba (September 20, 2015).

Again I say to you, help the rivers of divine mercy flow into the darkest corners of people’s lives, into their most painful wounds.

In this day of celebration and joy which we share, my most ardent desire for you is that, configured ever more to Christ the Good Shepherd, and under the protection of Mary, Mother of the Church and Queen of the Apostles, you may maintain the inner joy of this day throughout your entire life.

May you bring that joy to the most remote and difficult corners and fringes of humanity, confident that the Holy Spirit, who has chosen you to follow Jesus, to be with Him and to send you to proclaim the Kingdom, will bless your priestly ministry while you wait to meet Him, always Him – Christ yesterday, today, and always – full of fruits, in the house of the Father. Amen.

PORTUGUÊS: Ser testemunhas e ministros da misericórdia de Deus

Ordenações Sacerdotais da Congregação dos Legionários de Cristo

Basílica de São Paulo Fora dos Muros, 12 de dezembro de 2015

 

Caros amigos Legionários de Cristo, com alegria aceitei o convite para participar neste dia de festa, para a sua Congregação e para a Igreja, na qual 44 diáconos serão ordenados sacerdotes. Cada sacerdote é um dom para a Igreja e para a humanidade, e por isso hoje são tantas as razões para alegrar-se que levamos juntos ao altar do Senhor.

A partir das leituras que a liturgia nos oferece hoje – entre os muitos comentários possíveis sobre o ministério sacerdotal – gostaria de apresentar algumas características da pessoa do sacerdote, da vocação até a missão.

Cada sacerdote – como bem sabemos – é “escolhido entre os homens”, “constituído nas coisas que dizem respeito a Deus” e “enviado ao mundo.”

Somos, por Deus Pai Providente, “escolhidos entre os homens”; a primeira ideia é, portanto, a distinção entre profissão e vocação. Numa profissão o homem é o protagonista absoluto; ele elabora um projeto, se forma em vista disso, e dirige as relações que acredita oportunas a este objetivo. Profissão, poderíamos dizer, é um plano concebido e realizado com determinação. Não é como uma vocação, porque esta é a iniciativa de Deus, o primeiro passo é Dele. O chamado é uma resposta de amor a alguém que chama, ela é acolhida e relacionamento, não um projeto.

A este respeito, permitam-me chamar a atenção para o gesto que eu vou fazer em breve, a imposição das mãos sobre estes diáconos. É um gesto eloquente que nos recorda que eles “recebem” algo, ou melhor, Alguém – o Espírito Santo – que eles não podem dar a si mesmos; eles concluíram o seu processo de formação, foram considerados idôneos para o ministério e, agora, recebem o sacerdócio; não sobem um “posto” numa profissão; não recebem uma recompensa pelo trabalho duro. Eles pedem, sem pretensões, e recebem o dom que Deus lhes dá, por meio da Igreja.

É bom para um sacerdote manter sempre na vida, a consciência de ter sido escolhido, porque nestes momentos se encontram o amor de Deus, que chama, e do homem, que responde; essa consciência, portanto, é a “caixa- forte” da nossa alegria, através da memória da graça recebida, do “primeiro amor”, como mencionou o Papa Francisco (meditação diária em Santa Marta, 30 de janeiro de 2015): o amor com o qual Deus escolheu-nos “é uma grande alegria”, nas palavras do Santo Padre, e dele nasce “um desejo de fazer grandes coisas.”

Deus realiza esta escolha “entre os homens“, não entre os “super- apóstolos”, como os chamava São Paulo (2 Cor 11,5), ou entre uma elite possuidora de revelações ou dons especiais; Deus não chama o “melhor”, mas os que Ele quer – é o mistério do dom divino – para que, tornando-se santos na vida ministerial, possam santificar os seus irmãos.

A nossa história pessoal, eu diria que a nossa natureza humana, é um “livro”, que, como sacerdotes, não podemos deixar de consultar; lá reside muitas vezes a raiz dos sucessos e também das dificuldades, e dos dramas, que encontramos no ministério. “Um bom sacerdote, disse o Papa Francisco aos participantes do Congresso organizado recentemente pela Congregação para o Clero, é antes de tudo um homem com sua própria humanidade, que conhece a sua própria história, com suas riquezas e suas feridas, e aprendeu a viver em paz com essa realidade, alcançando uma serenidade profunda, típica de um discípulo do Senhor “. Como é importante entender bem, em profundidade, este livro, que somos cada um de nós!

Escolhido por Deus Pai, entre os homens, o sacerdote é, então, “constituído nas coisas que dizem respeito a Deus”; não é apenas uma mera observação, porque identifica claramente qual é a área de responsabilidade, o âmbito de ação do sacerdote: “as coisas que dizem respeito a Deus”. Na verdade, hoje e sempre, devemos prestar atenção para o conceito de sacerdócio. Muitas vezes nós queremos explicá-lo com alguma outra coisa, com algo que parece ser necessário para fazer sentido para nós e para os outros.

É a atitude que nos leva a considerar o sacerdócio sempre na dependência de outras coisas, ou outros elementos; por exemplo, sacerdócio… e o ensino numa universidade; sacerdócio… e presença na TV; sacerdócio… e internet; sacerdócio… e o mundo das viagens e do turismo, e assim por diante. Portanto, muda-se o foco, colocando no centro nossos interesses e habilidades, e em segundo plano, à margem da vida e, infelizmente, do nosso dia a dia, o sacerdócio e o seu valor intrínseco, com suas exigências mais profundas, espirituais e sacramentais, que alimentam e dão vitalidade própria.

É um risco traiçoeiro, também, no relacionamento com os irmãos, porque faz você dar mais importância ao que separa e não ao que une, e a longo prazo, pode quebrar ou colocar em risco a comunhão e a fraternidade sacramental, fundada na Ordem Sagrada. Desta forma, o sacerdócio pode tornar-se somente um “pretexto” para lidar com o outro; suas exigências são colocadas de lado e se criam pequenos ídolos, “senhores” do nosso tempo, das nossas energias mais belas e saudáveis, e, pior, do nosso coração.

Tornam-se assim os “profissionais” do ministério, funcionários do sagrado, e se pode cair na temida “auto-secularização”, o que por vezes acaba obscurecendo a visão clara e atraente da Igreja e seu mistério; e também acaba apagando o zelo pastoral dos sacerdotes, levando-os a contemplar e se deleitar mais nas belezas de Narciso que das necessidades e expectativas do rebanho; neste contexto, devo salientar a vocês, as palavras dirigidas pelo Papa Francisco aos jovens consagrados (17 de setembro de 2015), quando ele lembrou que esta é “uma das piores atitudes de um religioso: refletir a si mesmo, o narcisismo.”

O tesouro mais precioso que cada sacerdote tem que cultivar ao longo da sua vida, e que deve ser guardado com temor e tremor, é somente Cristo no seu próprio coração, numa relação de discípulo no amor, testemunhado por uma vida de bem segundo o Evangelho, no serviço aos irmãos, tornado presente na Eucaristia e na disponibilidade para o sacramento da Reconciliação. Este é o nosso centro de vida interior, que cada sacerdote tem para oferecer ao seu irmão, para reconciliá-lo profundamente e fazê-lo amar a vida como um dom de Deus, suscitando no coração da humanidade a confiança em um Deus que é Pai, a alegria do Evangelho e aquela esperança que não engana.

Mas o caminho vocacional, que começou com o chamado de Deus, enriquecido pelo dom da ordenação, não termina numa estrada solitária rumo à santidade, em detrimento de, ou apesar dos irmãos. Jesus enviou seus discípulos ao mundo, para que fossem nele trabalhadores a serviço do Reino. O dom do sacerdócio, então, não é uma questão de prestígio, ou ascendência, na Igreja ou em sua congregação, mas é uma questão de missão, devido à sua vocação inicial; de fato, recordou o Papa Francisco ao Capítulo Geral dos Sacerdotes de Schoenstatt (3 de setembro de 2015), “o sacerdote não está mais alto, nem à frente dos outros, mas caminha com eles, amando-lhes com o mesmo amor de Cristo”.

Assim, o plano pedagógico de Deus é cumprido na missão; Ele chama alguns para segui-lo no sacerdócio, através da Igreja, forma-os e leva-os num caminho constante de discipulado, e, em seguida, devolve-los para o mundo, como seus “instrumentos” de santificação. Não se tornem sacerdotes para vocês mesmos, mas para a Igreja e para o mundo; Cristo “consagra-lhes ” a si para dar-lhes a todos. Não deixem que as armadilhas da mundanidade espiritual e as fadigas desordenadas do ministério, lancem uma sombra sobre essa realidade espiritual e sacramental. Que o dom que vocês recebem hoje possa sempre fazer de vocês um dom para os irmãos que encontram no seu ministério, ao serviço do Reino.

Alguns dias atrás o Santo Padre abriu o Jubileu da Misericórdia; eu não posso deixar de lembrar a tarefa que lhes foi confiada de ser de maneira especial testemunhas e ministros da misericórdia de Deus neste tempo, como uma parte substancial da missão que é confiada a vocês hoje. Ao fazer isso, acima de tudo, “não se cansem de perdoar, como Jesus fazia. Sejam perdoadores, não se escondam atrás do medo ou da rigidez”, como mencionou o Papa aos sacerdotes cubanos (20 de setembro de 2015).

E ainda, façam que os rios da misericórdia Divina cheguem até os cantos mais escuros da vida das pessoas, até as suas feridas mais dolorosas.

Neste dia de festa e confraternização, o voto mais querido que eu gostaria de fazer é que, cada vez mais configurados a Cristo Bom Pastor, com a proteção de Maria, Mãe da Igreja e Rainha dos Apóstolos, vocês possam manter a alegria interior deste dia por toda a vida.

Que vocês possam então levá-la às periferias mais remotas e difíceis da humanidade, certos de que o Espírito Santo, que lhes escolheu para seguir Jesus, para estar com ele e lhes enviar para anunciar o Reino, abençoará o seu serviço sacerdotal, na espera de encontrar com Ele, sempre Ele – Cristo ontem, hoje e sempre – cheios de frutos, na Casa do Pai. Amém.